IL TRIBUNALE

    Vista  l'ordinanza  ex  art. 23  legge  87/1953  emessa da questo
  stesso  ufficio in data 24 settembre 1999 che si riporta di seguito
  integralmente.
    Vista  l'istanza con cui il p.m. all'odierna udienza ha sollevato
  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 511 comma 2 del
  c.p.p.,  cosi' come interpretato dalle sezioni unite della Corte di
  cassazione  (sent.  15  gennaio  1999,  n. 1  -  ric. lannasso), in
  relazione agli artt. 3, 25 e 101 della Costituzione.
    Ritenuta  la  rilevanza della questione sollevata dal p.m. atteso
  che  nell'ambito  del  presente  dibattimento, come consta dal p.v.
  dell'odierna udienza:
        e'   stata   disposta,   ex   art. 525  comma  2  c.p.p.,  la
  rinnovazione del dibattimento a seguito del mutamento della persona
  del giudice monocratico in quanto innanzi al primo giudice (rectius
  Pretore) si era svolta attivita' istruttoria (esame testi);
        la  difesa  ha  chiesto  un  nuovo esame dei dichiaranti gia'
  sentiti  non  prestando  in  ogni caso il consenso alla lettura dei
  verbali contenenti le menzionate testimonianze.
    Secondo   il   "diritto  vivente",  cristallizzato  nella  citata
  pronuncia  della  Suprema  Corte,  alla  luce della richiesta della
  Difesa,  non  potrebbero  essere utilizzate, mediante "la semplice"
  lettura,  le testimonianze raccolte dal precedente giudice (rectius
  Pretore)  e  contenute  nei  relativi  verbali  gia'  inseriti  nel
  fascicolo del dibattimento.
    La questione sollevata dal p.m. non e' manifestamente infondata e
  deve anzi essere condivisa per i motivi che seguono.
    In primo luogo e' opportuno ricordare che l'art. 511 c.p.p., dopo
  aver  stabilito  nel  comma  1  che  "il giudice, anche di ufficio,
  dispone  che  sia  data  lettura,  integrale o parziale, degli atti
  contenuti  nel  fascicolo  per il dibattimento", recita al comma 2:
  "la  lettura  di  verbali  di  dichiarazioni  e' disposta solo dopo
  l'esame  della persona che le ha rese, a meno che l'esame non abbia
  luogo".
    Le  sezioni  unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 1
  del  15  gennaio  1999,  hanno  sancito  il  seguente  principio di
  diritto:  "nel  caso  di  rinnovazione del dibattimento a causa del
  mutamento   della   persona   del   giudice   monocratico  o  della
  composizione  del giudice collegiale, la testimonianza raccolte del
  primo  giudice  non  e'  utilizzabile  per  la  decisione  mediante
  semplice  lettura,  senza  ripetere l'esame del dichiarante, quando
  questo possa avere luogo e sia richiesto da una delle parti".
    Dalla  lettura  della norma non pare, contrariamente al principio
  enucleato   dalla  cassazione,  che  il  legislatore  abbia  voluto
  limitare  la  lettura  dei verbali di dichiarazioni ai soli casi di
  irripetibilita'  della  prova  e  quindi di impossibilita' di nuovo
  esame  (nel  qual  caso avrebbe detto "a meno che l'esame non possa
  avere  luogo"),  ne'  tantomeno  ancorare  tale utilizzabilita' "de
  plano"  ad  un consenso - di cui non si trova traccia nella norma -
  delle parti.
    Ritiene  questo giudice, conformemente al p.m. istante, che se e'
  vero  che  i  principi  di  oralita' e di formazione della prova in
  dibattimento costituiscono istanze fondanti dell'impianto del nuovo
  codice,  e'  parimenti  vero  che  tali principi non possono essere
  considerati  isolatamente, ne' assolutizzati infatti, come ha avuto
  modo  di  puntualizzare  la  Corte  costituzionale  l'oralita'  non
  rappresenta  il  veicolo  esclusivo  di  formazione della prova nel
  dibattimento,  non  e' regola assoluta, bensi' criterio - guida del
  nuovo  processo (cfr. sent. n. 255 del 3 giugno 1992), dovendo tali
  principi  essere sviluppati e coordinati con quelli pariordinati di
  non  dispersione  dei  mezzi  di  prova  ossia non sara' lecito non
  utilizzare  materiale  probatorio  legittimamente  e  correttamente
  acquisito,  in quanto cio' sarebbe in contrasto con il principio di
  ragionevolezza.   Per  la  Consulta  il  bene  dell'efficienza  del
  processo,  enucleabile  dai  principi  costituzionali  che regolano
  l'esercizio della funzione giurisdizionale (artt. 25, comma 1 e 101
  comma  2  Cost.), coincide con la necessaria attitudine del sistema
  processuale  a conseguire attraverso opportuni meccanismi normativi
  idonei    allo    scopo,   l'accertamento   dei   fatti   e   delle
  responsabilita';  se  tali meccanismi espongono a rischio la stessa
  possibilita'  di  svolgimento  e  di  conclusione  del processo non
  possono  non  ritenersi  in contrasto con i principi costituzionali
  che presiedono al buon funzionamento della giurisdizione.
    La circostanza poi che l'oralita' non sia il veicolo esclusivo di
  formazione  della prova ma criterio - guida del nuovo processo, non
  confligge  affatto  con  il  principio  del contraddittorio, la cui
  essenza   sta  nella  conoscibilita'  delle  parti  degli  elementi
  probatori e nella corretta acquisizione degli stessi.
    La  stessa  Corte  costituzionale  del  resto  ha  avuto  modo di
  occuparsi  della  disciplina relativa alla valenza probatoria degli
  atti istruttori assunti in dibattimento nel caso di mutamento della
  persona  fisica del giudicante. Anzitutto il giudice delle leggi ha
  rilevato   che  nei  casi  in  cui  e'  necessario  procedere  alla
  rinnovazione  del  dibattimento  non  si produce alcun annullamento
  dell'attivita'  istruttoria compiuta, dovendosi quindi ritenere che
  le   dichiarazioni   rese  dai  testi  gia'  esaminati  dinanzi  al
  precedente  organo giudicante, contenute nei verbali dibattimentali
  relativi  alle  udienze  precedenti  fanno legittimamente parte del
  fascicolo  del  dibattimento (cfr. sent. n. 101 del 19 marzo 1993).
  Ed ancora, piu' in particolare, nel dichiarare l'infondatezza della
  eccepita incostituzionalita' degli artt. 238 e 512 c.p.p., la Corte
  ha  statuito  che  gli  atti contenenti dette dichiarazioni possono
  essere  acquisiti  mediante  lettura  od indicazione sostitutiva ai
  sensi  dell'art.  511 c.p.p. potendosi prescindere dal previo esame
  del  dichiarante,  quale  presupposto  per  l'acquisizione mediante
  lettura  delle  relative  dichiarazioni,  in  tutti  i  casi in cui
  l'esame  stesso  non  abbia luogo (cfr. sent. n. 17 del 3 febbbraio
  1994).  Quest'ultima pronuncia e' stata confermata, con riguardo al
  caso  di  attivita' istruttoria compiuta da giudice successivamente
  dichiarato  incompatibile,  avendo la Corte nell'occasione ribadito
  che  la  disciplina  relativa  alla  utilizzabilita' dei verbali di
  mezzi  di prova assunti in una precedente fase dibattimentale da un
  diverso  giudice va rinvenuta proprio nell'art. 511 c.p.p. dato che
  i verbali fanno parte del fascicolo del dibattimento a disposizione
  del  nuovo giudice, e che la pregressa fase dibattimentale conserva
  indubbiamente  il  carattere  di attivita' legittimamente compiuta,
  restando  salva  nel  caso  di  specie  la  distinta  regola di cui
  all'art. 42  c.p.p.  secondo  la  quale  con  il  provvedimento che
  accoglie  l'istanza di astensione o ricusazione viene dichiarato se
  e  in quale parte mantengono validita' gli atti compiuti (cfr. ord.
  n. 99 del 3 aprile 1996).
    Per  quanto  concerne  poi  il  riferimento  della sentenza delle
  sezioni  unite  al "consenso delle parti" deve rilevarsi che, se la
  mancanza  di  ripetizione  degli  atti di istruzione dibattimentale
  dinanzi al nuovo giudicante integra violazione del principio di cui
  al  comma  2  dell'art. 525  del  c.p.p., la correlativa nullita' -
  assoluta  ed  insanabile a norma del comma 2 dell'art. 179 c.p.p. -
  non  potrebbe  certamente essere superata dal consenso delle parti.
  Se invece e' consentito prescindere dal previo esame dei testi gia'
  escussi, per la utilizzabilita' ai fini del decidere delle relative
  dichiarazioni,  l'eventuale  dissenso delle parti non puo' comunque
  costituire  impedimento  alla  legittima acquisizione del materiale
  probatorio  precedentemente  formatosi,  utilizzabile quindi per la
  formazione  del  libero  convincimento  del  giudice  a norma degli
  artt. 192 comma 1 e 526 del c.p.p..
    In  particolare  le  dichiarazioni  di  cui si discute presentano
  alcune  peculiarita':  infatti  non  sono state rese nelle indagini
  preliminari,  e neppure in sede di incidente probatorio, o in altro
  procedimento,   e   quindi   poi  acquisite  nel  dibattimento,  ma
  direttamente   assunte   in   questo   pubblico  dibattimento,  nel
  contraddittorio  delle  diverse  parti,  nell'ambito  dello  stesso
  processo  penale,  e  pertanto  esse  risultano,  gia' dall'inizio,
  legittimamente formate nel medesimo dibattimento.
    Ne'  dall'avvenuto  mutamento  del  giudicante puo' dedursi una -
  sopravvenuta   -  inutilizzabilita',  piena  o  parziale,  di  tali
  dichiarazioni. Contro tale soluzione militano diversi argomenti.
    Anche  in  tema di prove assunte dinanzi al giudice incompetente,
  l'art. 26   c.p.p.   -   espressione   del  generale  principio  di
  conservazione  degli  atti  processuali  -  precisa che dette prove
  mantengono  la  propria  efficacia, limitando poi l'utilizzabilita'
  delle  dichiarazioni,  qualora  rese  al  giudice incompetente, per
  materia  soltanto nell'udienza preliminare e, nel dibattimento, per
  le   sole   contestazioni   ai   sensi   degli   artt. 500  e  503.
  Conseguentemente  se si tratta di prove acquisite davanti a giudice
  incompetente per profili diversi dalla materia tale utilizzabilita'
  dibattimentale sara' piena.
    In  termini ancora piu' chiari, il d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51,
  all'art. 170  ha introdotto una norma - art. 33 nonies - secondo la
  quale   "l'inosservanza   delle   disposizioni  sulla  composizione
  collegiale    o    monocratica    del   tribunale   non   determina
  inutilizzabilita' delle prove gia' acquisite" (ovviamente dinanzi a
  giudice diverso, in tal caso anche nella sua composizione).
    Da  cio'  consegue  che,  se  in  tali condizioni le prove, anche
  dichiarative,  acquisite  dinanzi  a precedente organo giudicante -
  non competente ovvero cui comunque non era attribuita la cognizione
  del  reato  -  sono  pienamente utilizzabili nella prosecuzione del
  processo (innanzi al differente giudice territorialmente competente
  ovvero   al  medesimo  giudice  nella  sua  corretta  composizione,
  collegiale  o  monocratica, e quindi diverso nei suoi componenti) a
  maggior  ragione,  le  prove assunte dinanzi al precedente giudice,
  ovviamente  competente,  ed  in relazione allo stesso processo, non
  possono  essere  sottoposte ad un regime che ne comporti una minore
  utilizzabilita'.
    Inoltre   il  codice  contempla  espressamente  ipotesi  di  atti
  probatori   assunti   nell'ambito  del  medesimo  processo  con  le
  formalita'  del dibattimento dinanzi a giudice diverso e pienamente
  utilizzabili in sede dibattimentale.
    Ci  si  riferisce alla disciplina dell'incidente probatorio, fase
  anticipata  del dibattimento, deputata all'assunzione di prove che,
  nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla
  relativa  assunzione,  sono  pienamente utilizzabili nel successivo
  dibattimento.
    Se  cosi'  e'  non  sembra  davvero  ragionevole  e  conforme  al
  principio  di  eguaglianza  (oltreche' a quello dell'efficienza del
  processo)  la  conclusione  a cui giunge "il diritto vivente" della
  Corte  di  cassazione  allorche'  ritiene che le prove assunte, non
  gia'  in  una fase anticipata del dibattimento ovvero in differente
  procedimento,  ma proprio in dibattimento, divengano inutilizzabili
  -  salvo  impossibilita' di ripetizione o consenso delle parti - se
  non previo nuovo esame del dichiarante.
    Al  contrario,  a  parere  dello  scrivente,  una interpretazione
  conforme  ai  menzionati  principi  porta  a  ritenere  che non sia
  necessario,  in  linea assoluta, disporre la ripetizione degli atti
  istruttori  gia'  compiuti ne' che cio' sia comunque subordinato al
  consenso  delle parti. Da tale conclusione non deriva certo che sia
  in  ogni  caso  vietato  procedere  a nuova assunzione dei mezzi di
  prova. Tuttavia, esclusa la rilevanza dell'eventuale dissenso delle
  parti sulla utilizzabilita' degli atti, il presupposto per valutare
  la  necessita'  di  tale  ripetizione dovrebbe essere rinvenuto nei
  principi generali in tema di prova. A norma dell'art. 190 c.p.p. le
  prove  sono  ammesse  a  richiesta  di  parte,  potendo  il giudice
  escludere  -  oltre  ovviamente  a  quelle  vietate  dalle  legge -
  soltanto   quelle   manifestamente   superflue   o   irrilevanti  e
  sussistendo  un  potere di ammissione delle prove ex officio quando
  cio'  sia  assolutamente  necessario  per  la  decisione  (art. 507
  c.p.p.).   Pertanto,   di   fronte  al  materiale  probatorio  gia'
  legittimamente  formatosi,  resta  fermo  il  diritto delle parti -
  disposta  la  rinnovazione  del  dibattimento  con dichiarazione di
  apertura  dello  stesso  e  nuova  richiesta di mezzi di prova - di
  chiedere un nuovo esame dei testi gia' sentiti.
    Tale  richiesta  dovra'  essere  valutata  dal  giudice, sotto il
  profilo  della  rilevanza e della non manifesta superfluita', ferma
  restando, qualora le parti non formulino richieste in tal senso, la
  possibile  attivazione dei poteri ex officio ai sensi dell'art. 507
  c.p.p..  Del  resto tale opzione interpretativa e' confortata dalla
  disciplina  codicistica in tema di acquisizione di verbali di prove
  di   altro  procedimento.  In  merito  infatti  e'  sempre  ammessa
  l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale, se
  si  tratta  di  prove  assunte nell'incidente probatorio ovvero nel
  dibattimento  (art. 238  comma 1 c.p.p.), fermo restando il diritto
  delle  parti  di  ottenere,  a  norma dell'atr. 190 c.p.p., l'esame
  delle  persone  le  cui  dichiarazioni  sono  state  gia' acquisite
  (art. 238 comma 4 c.p.p.). Quindi anche in tema di prove assunte in
  altro  processo,  e quindi in una situazione per le parti di minore
  garanzia  rispetto  a quella, massima, relativa a prove assunte, in
  contraddittorio  tra  le  stesse,  nel  medesimo processo dinanzi a
  diverso  giudice  del dibattimento, la richiesta di nuovo esame del
  dichiarante  deve  passare  attraverso  il filtro della rilevanza e
  della non manifesta superfluita'.
    Ecco  quindi  che l'art. 511 comma 2 c.p.p. viene ad assumere una
  funzione  che,  ben  lungi  dall'imporre  la  nuova  audizione  del
  dichiarante,   e'   finalizzata  a  disciplinare  nel  concreto  le
  modalita'  della  eventuale  escussione,  evitando  che  la  previa
  lettura possa pregiudicare la genuinita' delle nuove dichiarazioni.
  Per  questo  si e' stabilito l'ordine temporale esame - lettura che
  ovviamente  non  impedisce  affatto, alla luce delle argomentazioni
  svolte,  che  la lettura sostituisca una (pur possibile) escussione
  ritenuta dal giudice irrilevante o manifestamente superflua.
    L'interpretazione ora suggerita, oltre che ragionevole e coerente
  con  il dettato normativo, consentirebbe, da un lato, di coordinare
  il   principio   di  oralita'  con  quelli,  pariordinati,  di  non
  dispersione  del  materiale probatorio legittimamente acquisito, di
  semplificazione del processo e di piena cognizione del fatto reato,
  dall'altro di porre il processo penale al riparo da quelle condotte
  processuali  meramente  dilatorie  il  cui unico scopo e' quello di
  conseguire   ingiuste   impunita'   attraverso   l'istituto   della
  prescrizione del reato.
    In   conclusione   quindi   devono   condividersi   i   dubbi  di
  costituzionalita' sollevati dal p.m. in ordine all'art. 511 comma 2
  del  c.p.p., laddove, secondo l'interpretazione delle sezioni unite
  della   Corte   di  cassazione,  dispone,  in  linea  assoluta,  la
  ripetizione degli atti istruttori gia' compiuti.